Ogniqualvolta si tratti il tema delle assicurazioni sulla vita, da intendersi quali prodotti assicurativi sulla durata della vita umana, alla luce della crisi che nell’ultimo decennio ha interessato il sistema pensionistico pubblico, è opportuno un richiamo alla funzione previdenziale di tali prodotti che, sempre più di frequente, rappresenta il fine perseguito dall’assicurando, così inducendolo alla relativa sottoscrizione.
In termini generali, le polizze vita possono definirsi come contratti in base ai quali la Compagnia di assicurazione si obbliga a pagare al beneficiario un “capitale” o una “rendita” in occasione di determinati eventi riguardanti, per l’appunto, la vita dello stesso assicurato, ovvero:
1) a seguito della morte dell’assicurato: “assicurazione per il caso morte”;
2) al raggiungimento di una determinata età: “assicurazione per il caso vita”;
3) alla scadenza di un determinato termine previamente concordato tra le parti o in caso di morte dell’assicurato: “assicurazioni miste”.
Le “assicurazioni per il caso morte” sono presenti sul mercato assicurativo sotto varie forme, spiccando in tal senso la sottodistinzione tra “temporanee” e “a vita intera”.
Nel primo caso, con la sottoscrizione del contratto, la Compagnia di assicurazione assume l’obbligo di corrispondere al beneficiario il capitale assicurato indicato nella polizza a seguito della morte dell’assicurato, ma a condizione che tale evento si verifichi in epoca antecedente rispetto al termine di scadenza del contratto che, nel mercato assicurativo italiano, coincide usualmente con il termine di 5, 10 o 20 anni.
L’assicurazione per il caso morte si dice invece “a vita intera” quando l’assicuratore assume l’obbligo di corrispondere al beneficiario il capitale assicurato previamente concordato – e indicato in polizza – in occasione della morte dell’assicurato, in qualunque momento essa si verifichi.
Dunque, contrariamente a quanto avviene nella temporanea, l’alea del contratto differisce totalmente, nel senso che in questo caso l’unica aleatorietà deriva dall’incertezza circa il momento in cui la morte si verificherà, ma l’obbligazione per la Compagnia di assicurazione deve ritenersi certa.
Per quanto concerne invece “l’assicurazione per il caso vita”, i prodotti assicurativi presenti sul mercato italiano si distinguono in contratti “a capitale differito” o con “rendita”.
Nel primo caso la Compagnia di assicurazione assume l’obbligo di corrispondere al beneficiario – che solitamente è l’assicurato/contraente – il capitale assicurato, a condizione che questi sia in vita dopo un determinato numero di anni dalla sottoscrizione del contratto, ove tale termine viene espressamente indicato. Pertanto, per il caso in cui l’assicurato dovesse decedere in epoca antecedente, l’assicuratore potrà ritenersi sollevato da qualsivoglia obbligo.
Nel fattispecie della “rendita”, invece, l’assicuratore si obbliga alla corresponsione non di un unico capitale, bensì, per l’appunto, di una rendita, ovvero di una successione di importi a scadenze prefissate, ovviamente a condizione che l’assicurato, in occasione di tali scadenze, sia in vita.
Tale durata può limitarsi a “tot” anni, decorsi i quali l’assicurazione cessa anche se l’assicurato è in vita (“rendita temporanea”), oppure le parti potranno pattuirne una durata coincidente con l’intera vita dell’assicurato (“rendita vitalizia”).
Ulteriore sottodistinzione concernente le polizza vita è quella correlata alle “polizze vita miste”, le quali sono definite “miste semplici” (o ordinarie) allorquando siano il risultato dell’unione di una temporanea caso morte e di una caso vita, cosicchè l’assicuratore assume l’obbligo di liquidare al beneficiario il capitale assicurato o una rendita se l’assicurato risulti essere in vita alla scadenza del termine di differimento oppure, alternativamente, il capitale assicurato per il caso di premorienza; si parla invece di polizza vita “mista doppia” allorquando il capitale in caso vita sia doppio rispetto a quello in caso di morte.
Negli anni, anche e soprattutto in virtù della crisi del sistema pensionistico pubblico, i predetti prodotti assicurativi si sono trasformati in un vero e proprio strumento previdenziale, sotto forma di “previdenza integrativa”. E’ infatti innegabile che i consumatori oggi considerino le polizze vita quale sorta di integrazione alla pensione statale, ovvero quali strumenti di “previdenza complementare”.
Con l’immissione delle polizze vita sul mercato assicurativo nonché con l’istituzione di fondi pensione e di piani individuali pensionistici, le Compagnie di assicurazione occupano oggi una posizione di primo piano nell’ambito della previdenza complementare, di fatto consentendo ai cittadini di poter prevenire qualsivoglia crisi del sistema pensionistico pubblico e dunque svolgendo una preminente funzione sociale e di sostegno per l’intera economia nazionale.